Friday 9 October 2009

Baarìa (G. Tornatore, 2009)


Gli spunti dai quali iniziare questa breve riflessione sono tanti, anzi, tantissimi. Nessuno potrebbe dubitare del fatto che "Baarìa" abbia tutte le carte in regola per diventare oggetto di una tesi in storia del cinema. Per tale motivo, in questa sede mi limiterò ad esporre una breve sintesi del "flusso di coscienza" che ho sperimentato durante i titoli di coda. Ebbene, mi sono chiesta principalmente che ruolo abbia, in questo lungo film, la figura del regista: Tornatore è un osservatore, uno dei tanti personaggi che popolano lo scenario oppure il protagonista (o meglio, i protagonisti)? Se fosse un osservatore, il film non avrebbe molto senso: in effetti, una qualche parvenza di struttura narrativa è, a mio avviso, del tutto assente, in quanto i personaggi non risaltano individualmente e sono piuttosto trascinati dal contesto che li circonda, come ad esempio la scenografia monumentale e luminosa raffigurante Bagheria e le note possenti di Morricone. In altri termini, un osservatore terrebbe le redini del film, articolandone la storia in una messa in scena intimamente razionale ed agendo come una sorta di burattinaio, manipolando a dovere le emozioni degli spettatori. Tuttavia, a me sembra che "Baarìa" sia un film, per così dire, "a briglia sciolta", che non rispecchia alcun disegno predeterminato. Sorge dunque spontaneo interrogarsi sulla possibilità che Tornatore si sia volutamente inserito nella dimensione corale di questa opera magna, assorbendo il "sentire comune" per rappresentare scene di vita vissuta, in cui non hanno importanza i personaggi bensì il contesto sociale entro il quale essi sono temprati, così come fecero Verga o Zola al loro tempo. Questa tesi è sicuramente avvalorata dal frequentissimo uso che il regista fa del meccanismo di dissolvenza, quasi a suggerire che il film non sia altro che una giustapposizione di corti cinematografici o aneddoti di matrice culturale. Purtroppo, neanche questa soluzione mi convince, in quanto ignora completamente l'elemento che, secondo me, costituisce la chiave di volta, il filo conduttore della storia, ossia la dimensione onirica. Infatti, prendendo nuovamente in considerazione la domanda che mi sono posta in apertura, mi sento di dover accogliere la tesi che vede nel regista il vero protagonista del film, anche se non nel significato comunemente inteso. A mio avviso, "Baarìa" non è, come i titoli di coda sembrano indurre a credere, un excursus autobiografico, bensì la rappresentazione dell'impulsività più profonda dell'autore, come gli schizzi di un artista sulla tela. Fuori di metafora, credo che sia importantissimo notare che il film è intriso di magia, ma non quella delle favole, quanto piuttosto di sogni nostalgici, amari e, a tratti, anche grotteschi. Se dovessi qualificare quest'opera di modo da descriverla adeguatamente, forse direi semplicemente che essa è "impulsiva": ad un linguaggio figurativo "surrealista" si accompagna un sostrato decisamente pessimista, che il regista ha voluto descrivere in via mediata tramite la curiosità e la fantasia di un bambino, il suo più autentico alter ego, fatto che rende ancora più tragico il messaggio lanciato quasi inconsciamente da Tornatore. Come non cogliere l'amarezza della splendida sequenza che intreccia presente e passato? Nel vederla, ho pensato alla celeberrima nonché ipercitata frase pronunciata in "Il Gattopardo" da Tancredi: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Come non ridere a denti stretti nella magistrale scena della farmacia? Come non piangere di fronte ad un uomo che realizza qualcosa di inimmaginabile oramai in fin di vita? In definitiva, nel rappresentare tutto ciò il regista ha sentito l'esigenza, a mio avviso, di condividere con il suo pubblico quanto era rinchiuso al sicuro nella culla della sua coscienza.Quale mezzo migliore per comunicare impulsi così passionali che le memorie di un bambino cresciuto a Baarìa? Ebbene, io credo che il film possa essere apprezzato soltanto qualora lo si consideri sotto questo profilo, ossia come portato dell'esperienza cinematografica di un regista che non è riuscito a scacciare gli stimoli provenienti dal suo cinema più cupo ed introspettivo ("La sconosciuta" docet) da quello che poteva, e forse voleva, essere un abbandono totale alla meraviglia ed alle paure dell'infanzia (si vedano in proposito i continui richiami a "Nuovo Cinema Paradiso"). Infatti, considerato in un'ottica più generale, il film risente,a mio avviso, di una certa sovrabbondanza di materiale, destinato ad essere appiattito e disperso dalla mancanza di un forte timoniere.