Friday 26 December 2008

La Duchessa (S. Dibb, 2008)


Candidatura al Golden Globe - Miglior attore non protagonista - Ralph Fiennes
Il film narra la vita della duchessa del Devonshire, Georgiana Spencer, vissuta nell'Inghilterra della seconda metà del '700, donna colta e raffinata che ebbe un ruolo di primo piano nella società e nella politica inglese del tempo e una vita privata molto infelice.
Le premesse per questo genere di film non sono mai ottime : un cast d'eccezione unito ad una storia di ribellione alle convenzioni sociali in un momento della storia rispetto al quale è possibile erigere una struttura patinata e fredda, il cui maggior vanto sono i solitamente meravigliosi costumi.
Questo film non è un'eccezione, ma ha una considerevole marcia in più, in quanto è irradiato da due prove attoriali assolutamente strepitose che fanno palpitare la pellicola.
Mi riferisco innanzitutto a Keira Knightley, inspiegabilmente ignorata nella cinquina dei Golden Globes, nel ruolo della protagonista, la duchessa del Devonshire Georgiana Spencer, una sorta di prototipo della principessa Diana, della quale è ascendente in linea retta, e al sottilmente sublime Ralph Fiennes nel ruolo del duca marito della prima.
Il riferimento alla illustre discendente di Georgiana non è mai immediatamente evidente e la duchessa può vivere di vita propria : solare, spontanea, fragile e istintiva, questa figura si pone in rilievo con una areosa dinamicità, di contro alla staticità delle eleganti scenografie e dei personaggi di contorno.
Volutamente statico è invece il duca, ma non per questo il personaggio è contaminato dalla piattezza dello sfondo, come invece lo è Charles Grey, interpretato senza passione da Dominic Cooper, la cui storia d'amore con Georgiana non coinvolge e nemmeno interessa, finendo per diventare meramente una noiosa ricorrenza : il duca di Ralph Fiennes è una figura mediocre che tuttavia è potenzialmente pericolosa e l'attore rende in maniera sorprendente ed in momenti inaspettati tutte le sfumature della sua meschinità, dall'inettitudine e ottusità dell'uomo che non riesce a sperimentare altri piaceri oltre che quelli elementari alla violenta ossessività e subdola crudeltà dell'uomo privo di erede maschio.
Una speciale nota di menzione va a Charlotte Rampling nel ruolo della madre di Georgiana, donna ambiziosa a suo agio nelle convenzioni sociali e dotata di una razionalità ai limiti del dogmatismo, delineata con magistrale raffinatezza dall'attrice che in giovinezza era famosa per i suoi ruoli da ribelle.
Fatta eccezione per suddette prove attoriali, il film non ha in sé niente di nuovo da offrire : la storia non è particolarmente originale e il regista non impone nessuna particolare visione, i costumi sono ovviamente meravigliosi e dettagliati, affidati al relativamente nuovo Michael O'Connor, e la bella musica ha la firma della sapiente mano di Rachel Portman ("Chocolat" , "Emma" , "Mona Lisa Smile", "La Leggenda di Bagger Vance").

Saturday 13 December 2008

Candidature per la 66° edizione dei "Golden Globes"



Seguite il link...

http://www.goldenglobes.org/news/id/104

Cercherò di mettere sul blog il maggior numero possibile di recensioni dei film in lizza per gli ambiti premi prima della cerimonia di assegnazione, fissata per domenica 11 gennaio 2009.
L'anno scorso la cerimonia vera e propria fu cancellata a causa dello sciopero degli sceneggiatori.

Wednesday 3 December 2008

Changeling (C. Eastwood, 2008)




Il 10 marzo 1928 a Los Angeles il piccolo Walter Collins scompare.
La madre Christine si mette alla disperata ricerca del figlio e sei mesi dopo le viene annunciato che è stato ritrovato sano e salvo.
Tuttavia il bambino che le viene riportato non è suo figlio, a differenza di quanto vorrebbero farle inutilmente credere i poliziotti incaricati del caso.
Christine si trova allora costretta a intraprendere una guerra contro i potenti della città nel tentativo di far venire alla luce la verità...

Clint Eastwood non è mai stato un amante della retorica, di discorsi sui massimi sistemi, monologhi "virtuosi", dialoghi complessi, giochi di parole e vari espedienti di questo genere.
Egli è soprattutto un osservatore della realtà, dotato di una lucididà e sobrietà che trascendono la sensibilità cinematografica più diffusa.
"Changeling" è in questo senso esemplare : la storia vera di Christine Collins (una Angelina Jolie che fà il verso alle dive del passato, con modesti risultati), madre alla disperata ricerca del figlio nella Los Angeles degli anni '20, coinvolta suo malgrado in una lotta ad armi impari contro le forze dell'ordine che vorrebbero far creder suo un bambino che in realtà non lo è, viene raccontata seguendo minuziosamente la cronaca, a tal punto da riportare anche le singole date.
Non vi è dunque una progressione temporale "a effetto" per impressionare gli spettatori e, d'altronde, non ve ne sarebbe bisogno, perché il senso morale di chi sta dietro la cinepresa traspare in ogni momento : non si tratta, invero, di una mera narrazione dei fatti, quasi fossimo in presenza di un documentario, bensì di un messaggio colmo di un'indignazione autoevidente, immune dalla necessità di essere giustificata in quanto percepita simultaneamente dagli spettatori.
Eastwood è un regista indignato ma non polemico, perché la trasparenza delle immagini portate sul grande schermo si sposa con un ideale di coscienza sociale la cui moralità intrinseca è talmente forte da pesare più di qualunque invettiva.
L'occhio del regista cade sul dramma umano di Christine cogliendone l'ambivalenza, rappresentata dal dolore privato della donna e dalla dimensione sociale del suo caso, in un atto di imprevedibile ottimismo.
Non a caso, sebbene l'angoscia crepiti sullo schermo per tutti i 140 minuti di durata del film, la scoperta dell'orrore e soptattutto le traversie giudiziarie conseguenti hanno un effetto catartico sulla protagonista e, in particolare, su chi guarda.
Qualcuno ha criticato questa parte più "tecnica" del film, consistente nella risposta della società losangeliana alla tragica vicenda, tuttavia l'obiettivo perseguito è di trasmettere fiducia nella possibilità di redimere il sogno americano da se stesso, permettendo ad un ideale di giustizia sostanziale di compiere la sua missione.
In fondo dunque il regista è un ottimista, alle prese con una realtà che sembrerebbe non far trovare pace alle persone oneste : il suo è un messaggio di speranza, rafforzato da una semplicità "classica", fatta di concretezza e sentimento (attenzione, non sentimentalismo!).
Forse è per questo motivo che la prima sensazione coscientemente riconoscibile mentre scorrono i titoli di coda è quella di uno strano sollievo.

Tuesday 2 December 2008

Love Actually - L'amore davvero (R. Curtis, 2003)



Nove storie diverse, eppure collegate tra loro, nella Londra dei giorni nostri, in frenetica attesa del giorno di Natale.

Confesso che ho sempre apprezzato molto il senso dell'umorismo tipicamente British e le storie corali di Richard Curtis ("Quattro matrimoni e un funerale" e "Notting Hill", per citarne qualcuno) e questo film rappresenta in tal senso un punto d'arrivo.
Innanzitutto, nei film precedenti sceneggiati da Curtis vi era qualche sporadica melensaggine che appariva qua e là, mentre in questo non ve ne è l'ombra; in secondo luogo, Curtis è più politicamente scorretto, ma sempre con quel caratteristico garbo ammiccante che gli è proprio (da antologia la sequenza della visita del presidente degli Stati Uniti a Londra); infine, i film corali sono sempre stati la specialità dello sceneggiatore-regista, capace di dare il giusto spazio ai suoi personaggi, ritratti a tutto tondo e con sincero affetto, e qui ci troviamo di fronte al perfetto bilanciamento di ben nove storie diverse per poco più di due ore di durata.
Alcune storie sono fanno ridere, altre piangere, altre finiscono bene, altre no, ma sono tutte collegate fra loro, memorabili e, a tratti, commoventi.
Il cast è ben assortito e presenta attori di alto profilo: Alan Rickman, Emma Thompson, Liam Neeson, Colin Firth, Bill Nighy, Keira Knightley, Laura Linney, Billy Bob Thornton, Rowan Aktinson (il suo cameo è esilarante) e così discorrendo.
Fa parte del cast anche Hugh Grant, ormai assiduo interprete dei film sceneggiati da Curtis, più disincantato e meno imbambolato del solito nei panni del primo ministro britannico (strepitoso il balletto improvvisato all'interno del numero 10 di Downing Street sulle note delle Sister Sledge).
Per concludere, una breve nota sul titolo del film, non immediatamente comprensibile se visto doppiato: l'amore è il filo conduttore di tutti i "quadretti" che ci vengono mostrati e "actually" ("in realtà" e non "davvero", come vorrebbe far credere l'edizione italiana) è un intercalare usatissimo dagli inglesi e, in particolare, da tutti i personaggi del film, in gran parte londinesi doc.

Love Actually (R. Curtis, 2003)

I confess I've always admired Richard Curtis's typically British sense of humour and shoulder to shoulder storylines ("Four weddings and a funeral" and "Notting Hill", amongst others) .
This film is the ultimate finish line in that direction: firstly, because there is not one trace of soppy dialogue; secondly, because the restraints of political correctness are finally let go of, while the film retains a certain air of mischievous courtesy (the US president's visit to London is quite memorable); finally, because Curtis has always been a mastermind in bringing to the screen collective views on rather diverse themes, by allowing each character to have its own voice and portraying each one with the right dose of wit and affection, and, from this point of view, the film holds in perfect balance nine different storylines (ten including the one which was left on the cutting room floor).
Some stories are funny, others sad, others happily resolved and all are, in one way or the other, related, heart-warming and memorable.
The cast is solid and it includes some rather high profile actors, amongst others Alan Rickman, Emma Thompson, Liam Neeson, Colin Firth, Bill Nighy, Keira Knightley, Laura Linney, Billy Bob Thornton and Rowan Aktinson (watch out for his cameo appearence, it's hilarious).
Then of course there is also Hugh Grant, at this point one of Curtis's faithfuls, playing Britain's PM in a more disillusioned and less vacant fashion: his improvised dance inside official quarters, with the beat of Sister Sledge in the background, is outstanding.

Trailer : http://www.youtube.com/watch?v=cYCkFTyADJ0

Sunday 30 November 2008

Twilight (C. Hardwicke, 2008)



La diciassettenne Isabella Swan va a vivere con il padre nella piovossissima cittadina di Forks, nello stato di Washington. Là incontra il cupo e affascinante Edward Cullen.
Scoprirà ben presto che egli nasconde un incredibile segreto...

A dispetto di coloro che attendevano di essere "rassicurati" da una conferma dei propri pregiudizi, miranti a screditare preventivamente questo film come "roba da adolescenti", "Twilight" è un bel film, sia rispetto alla fonte letteraria che al linguaggio cinematografico.
La sceneggiatrice Melissa Rosenberg si libera degli innumerevoli battibecchi amorosi presenti nel libro e va dritta al sodo, assecondando la visione della regista Catherine Hardwicke, il cui principale obiettivo era cogliere l'aspetto più interessante del romanzo di Stephanie Meyer, quello dell'inquietudine sessuale come nesso interno del binomio amore-morte.
I due attori protagonisti, entrambi in perfetta sintonia con i rispettivi personaggi, rendono bene la tensione insostenibile che corre tra Edward e Bella: lei vorrebbe aver lui vicino, lui tenta disperatamente di star lontano da lei e allo stesso tempo non ci riesce ed entrambi mettono in gioco tutto per il loro amore.
Non sono figure tipicamente eroiche, bensì persone costrette a compiere scelte eroiche in quanto incapaci di rinunciare ad un sogno bellissimo ed apparentemente irrealizzabile.
Sicuramente ciascuno dei due ha un'idea ben precisa di come il rapporto debba funzionare e
questo crea un dialettica che viene appena accennata dal film e presumibilmente sarà approfondita dai sequel.
La storia d'amore è trattata con grande delicatezza, priva degli eccessi di sceneggiatori nostalgici dell'adolescenza che non hanno mai avuto e bambinoni con qualche ormone di troppo, ed è sempre in perfetto equilibrio tra l'intimismo e l'epica.
Di conseguenza la complessa miscela romanticismo-fantasy-horror-teen movie funziona ed a questa concorrono in maniera non indifferente i magnifici paesaggi fotografati empaticamente da Elliot Davis e la musica essenziale con spunti classici e rock, quest'ultimi non sempre calzanti, di Carter Burwell.
I personaggi di contorno sono ben introdotti, considerando quanto è stato necessario ridurre, anche volendo tener conto del fatto che dal prossimo film (già in pre-produzione) dovranno essere inquadrati in modo più analitico.
Qualche giorno fa è stato annunciato che anche la sceneggiatura di "New Moon", secondo capitolo nella saga della Meyer, sarà figlia della penna asciutta e introspettiva di Melissa Rosenberg: dato che affidare la regia a Catherine Hardwicke, mano esperta nel ripercorrere le inquietudini adolescenziali, si è rivelata una scelta vincente, bisogna sperare in una riproposizione del felice sodalizio, perché "Twilight", lungi dall'essere un contentino per ragazzine sovraeccitate, è un'emozionante viaggio nell'amore allo stato puro, onesto e contrastato.

Teaser trailer (italiano) :
http://www.youtube.com/watch?v=pxNKNVnSXSs

Post Scriptum:
In data 8/12 è stato annunciato che Catherine Hardwicke non sarà dietro la cinepresa per il prossimo capitolo.
Personalmente io punterei su Sofia Coppola : quando forse leggerete una mia recensione su un film da lei diretto, capirete perché.

Post Post Scriptum : Come non detto, in data 12/12 è stato annunciato che il regista di "New Moon" sarà l'eclettico e imprevedibile Chris Weitz.



Twilight (C. Hardwicke, 2008)

Sorry boys, but this is not just another "chick flick"!
Director Catherine Hardwicke floors the accelerator to get to what is probably the most interesting aspect of Stephanie Meyer's novel and also the main focus of Melissa Rosenberg's script: the riveting and unbearable sexual tension between the star-crossed lovers, both desperately yearning for each other but, at the same time, forced not to embrace with the kind of intensity which is customary for lovers all around the world.
A lot of reviews have underlined the theme of chastity, while taking into consideration the fact that the literary source is not immune from the author's Mormon beliefs: personally, I found the dynamic between the two main characters very refreshing, even more so because the script cuts right to the chase, managing to avoid a rather substantial portion of the mushy banter devised by Meyer.
The awkwardness surrounding Edward and Bella makes their relationship thrilling and fascinating, while allowing a drop of sweet, uncompromising romance to slip through.
Fear is a strong motivational force for both lovers, who struggle in order to achieve different ends, but the persuit of eternal love is an equal contender which shatters their feeble resolve.
Once we’ve established that, are we to regard Edward and Bella as heroic figures?

Personally, I don’t think there’s anything “typical” about their love story, a fact which brings me to my next crucial point: even though there is an epic resonance to the story, the main tone of the film is profoundly introspective, in line with the director’s idea of what makes a good story.
Therefore, I wouldn’t qualify the two main characters as heroes, but rather as people who are compelled to make heroic choices to catch a glimpse of a wonderful and apparently unreachable dream.
Rosenberg’s subtle and pondering analysis manages to hit the right cord and feel honest, also thanks to Hardwicke’s non-intrusive focus on the characters’ feelings, without sacrificing too much of the other characters by giving each one of them a well-defined first introduction.
I must say I’m not too keen on the choice of Nikki Reed as Rosalie, but it’s an impression that comes from having read the book before seeing the film, so I won’t bring any arguments to the table just yet.
Elliot Davis’s empathic cinematography adds a lot to the feel of the story, as does Carter Burwell’s low-key score, a fusion of classical and rock, even though the latter seems at times misplaced.
It has been announced that the “Twilight” team will continue working together (production is due to start next March) on the second chapter of Meyer’s saga, “New Moon”: hopefully its trickier structure won’t influence the final result. My hopes are certainly up.

Theatrical Trailer : http://www.youtube.com/watch?v=k1GbukZnl1Y

Update! (December 8) : Apparently Catherine Hardwicke won't be directing the next chapter in the saga. Sofia Coppola, anyone?

Another update! (December 12) : Never mind, the director's chair was officially passed on to the eclectic and unpredictable Chris Weitz.





Saturday 29 November 2008

Pomodori verdi fritti (alla fermata del treno) (J. Avnet, 1991)



Evelyn fa amicizia in un ospizio con la vivace e anziana Ninny, che le racconta la storia di un'amicizia tra due donne, Idgy e Ruth, nell'Alabama del Primo Dopoguerra.

Il film di Avnet si muove su due binari: il primo è rappresentato dalla commovente amicizia tra la simpatica cicciottella Evelyn (Kathy Bates) e l’anziana Ninny (Jessica Tandy), mentre il secondo consiste nelle memorie dell’anziana signora riguardo ad un'altra amicizia, quella tra la spregiudicata Idgy (Mary Stuart Masterson) e l’affabile Ruth (Mary-Louise Parker).
La prima storia funziona soprattutto come commedia brillante, con qualche spiraglio di malinconia, mentre la seconda è un drammone sull’America rurale dei tempi andati, con l’aggiunta di un’impronta proto-femminista.
Il problema maggiore che ho riscontrato in questo film è il debolissimo, se non assente, legame tra le due storie, a tal punto che entrambe potrebbero funzionare in maniera del tutto autosufficiente come film autonomi: ne consegue che, pur considerando la non indifferente durata, il film non riesce ad inquadrare bene tutti i personaggi principali e a soffrirne è soprattutto la storia di Idgy e Ruth e dei loro pomodori fritti.
Il rapporto profondo che lega le ragazze non viene mai giustificato con un’analisi attenta delle rispettive personalità, a tratti perfino banalizzate, e sembra quasi che vi sia la volontà di trattenere qualcosa, di non andare oltre la superficie e, allo stesso tempo, di far mancare, con l’eccezione di qualche scena, come ad esempio quella del bagno notturno, quell’elemento di delicata suggestione che dovrebbe far protendere lo spettatore verso il non-detto o il non-fatto.
La storia di Evelyn e Ninny è più coerente, forse anche grazie alla minore complessità degli eventi che si susseguono in essa, e la simpatia dei due personaggi è contagiosa e spontanea, tale da rendere credibile ed a tratti molto commovente la loro amicizia, come ad esempio nella splendida scena finale.
Purtroppo quest’ultima è anche, delle due, la storia più sacrificata e, rispetto all’intensa drammaticità dell’altra, finisce per sembrare una sorta di inutile sketch comico a causa del montaggio “a intermittenza” del film, che spezza il ritmo laddove ci sarebbe bisogno di continuità e viceversa.
In definitiva, la bellezza delle due storie sta nell’individualità delle stesse, mentre il film nel suo complesso si rivela uno scoordinato tentativo di mettere in scena vite parallele.

Trailer (originale) : http://www.youtube.com/watch?v=wwYDQG0c-cs




Friday 21 November 2008

Dracula di Bram Stoker ( F.F. Coppola, 1992)


Nella speranza di "affondare i denti" a breve nell'attesissimo "Twilight", oggi in uscita nelle sale italiane, vi porto un po' indietro e condivido la mia opinione sulla storia del vampiro più famoso di tutti i tempi così come viene raccontata da un grande cineasta.

Se questo film fosse stato affidato ad un regista diverso, sarebbe stato un vero pastiche, nel senso puramente negativo del termine: la commistione di stili diversi, che spaziano dal neogotico-romantico allo splatter, richiedeva un concerto posto in essere da un abile burattinaio che sapesse quale filo tirare nella progressione temporale della storia.
Per fortuna il burattinaio della situazione è nientemeno che Francis Ford Coppola, il quale sceglie di dare la preferenza al melodramma, riducendo gli altri elementi del melting pot stilistico a meri accessori scenografici, per quanto grandiosi o impressionanti.
Non a caso, sebbene i punti di vista osservati siano quelli di molteplici personaggi, il filo conduttore della storia è rappresentato da Mina (Winona Ryder), che diventa protagonista assoluta nel momento in cui si trova faccia a faccia con il famoso vampiro (un magnifico Gary Oldman): gli spettatori assistono alla sua maturazione sessuale ed, al contempo, ad una drammatica presa di coscienza dei propri sentimenti, che va di pari passo con i tragici ricordi del famigerato conte, costretto dall'amore per Mina a riconoscere la propria identità ed il dolore indiscutibilmente umano che lo ha trasformato in un mostro.
La tensione nel film è tutta giocata sul non-visibile: la cinepresa si muove erraticamente, calcando la pittoresca e gotica scenografia con piani-sequenza brevi e ravvicinati, imitando i movimenti del mostro che si avvicina alla sua preda, ed in tal modo crea la sensazione di inevitabilità gravante su tutta la storia, l'ombra di un ineluttabile necessità, il Fato delle tragedie greche operante al fine di riunire il conte con la donna, anzi l'effigie della donna, indirettamente responsabile della sua dannazione eterna.
Tale riflessione diventa interessante alla luce di un dettaglio di vitale importanza, a mio avviso, per scoprire la chiave di lettura del film: in questa storia Dio sembra essere completamente assente.
Il conte stesso, in seguito alla tragedia che lo colpisce all'inizio del film, rinuncia alla Chiesa ed al suo Dio, precipitando nell'oscurità di quella che si prospetta come una non-morte eterna, terribile punizione dell sua tracotanza, ed il suo unico avversario veramente temibile è Van Helsing (un istrionico Anthony Hopkins), un uomo moderno, fortemente dedito alla ricerca scientifica e lontano dal misticismo dei padri esorcisti, pur servendosi del crocifisso, come vuole la leggenda, che in realtà non assume mai un'importanza preponderante e viene annoverato solo fra i tanti rimedi messi a punto dal geniale professore.
L'amore per Mina porta il conte, senza che egli lo voglia, sulla strada della riconciliazione con il divino tramite la riappropriazione della sua umanità, in quanto l'amore, come abbiamo modo di vedere all'inizio del film, è il suo unico punto di vulnerabilità, a fronte di un'apparente invincibilità, fermentata dalla crudeltà e dall'ambizione del personaggio nei suoi tratti sicuramente umani.
La splendida scena finale del film mostra un uomo finalmente in pace con se stesso che contempla quanto aveva rinnegato, non più un orribile mostro perseguitato dai suoi demoni, e questo traguardo riempie di viva speranza chiunque abbia assistito per due ore abbondanti all'inarginabile avanzare di un cupo delirio.

Trailer originale : http://www.youtube.com/watch?v=Xw2-ZMhxTUs

Wednesday 19 November 2008

Gli Amori di Astrea e Céladon (E. Rohmer, 2007)


La pastorella Astrea, credendo che l'amante Céladon l'abbia tradita, lo respinge.
Egli, disperato, si getta in un fiume e viene trovato da una donna di nobili origini...

Benvenuti in Arcadia! Entrate nella forma mentis di questo film e tuffatevi in una tela deliziosamente rococò, un mondo remoto rispetto al nostro, in cui tutto è all'insegna dello "scherzo", del gioco d'amore, dei colori pastello, dei lamenti pastorali, delle "bizzarrie" immerse nel rassicurante e luminoso paesaggio e dei pastori filosofi.
I dialoghi sono più vicini al teatro che al cinema e l'assenza di colonna sonora (vi sono soltanto flauti e liuti suonati talvolta dai personaggi) accresce la sensazione di assistere ad una rappresentazione galante, messa in scena per la nobiltà colta del '700.
Tuttavia Rohmer introduce un elemento in più che toglie al film ogni veste di apparente fredda razionalità: i due amanti vengono ritratti non solo nel pieno del loro struggimento d'amore, bensì anche nel momento in cui provano sensazioni per loro nuove e sconvolgenti che donano a questa leggera storia una carica erotica fortissima, priva di qualsiasi gratuità o volgarità, calibrata con sapienza dal maestro Rohmer con la bellezza eterea delle immagini e la grazia quasi musicale delle movenze dei personaggi.
Un esempio di questa incredibile simbiosi potrebbe essere una scena in cui Céladon coglie l'amata Astrea addormentata in una radura, con una gamba appena scoperta, e rimane folgorato dalla perfezione del suo corpo.
La ridente natura che circonda i personaggi contribuisce in maniera essenziale ad avvolgere lo spettatore nell'atmosfera rarefatta del film ed a fargli dimenticare per i suoi 109 minuti di durata le difficoltà della vita reale.
Io credo che l'intento del vecchio Rohmer sia quello di celebrare la giovinezza e l'innocenza dell'amore a lei congeniale, con un po' di nostalgia per l'ideale dell'amore pudico e allo stesso tempo aperto al contatto fisico, come dimostra nel modo più alto la semplice spontaneità del finale.
Molto interessante è l'uso sporadico che il regista fa della voce narrante, che non ha funzione esplicativa bensì descrittiva, un "occhio interno" cantautore dei sentimenti degli amanti nel momento stesso in cui li provano.
Quanto alla struttura del film, infine, coerentemente con lo stile nel complesso, le sequenze sono divise "per quadretti" attraverso l'interposizione di pannelli che scandiscono la successione temporale delle vicende.
Per coloro tra di voi che si lamentano della ripetitività delle trame, questo film è una tappa illustre e obbligata!

Thursday 13 November 2008

Quantum of Solace (M. Forster, 2008)



Gli amanti dell' azione probabilmente avranno da parlar bene di questo film, mentre coloro che si aspettavano un seguito degno del precedente rimarranno amaramente delusi.
"Quantum of solace" si riduce ad un mero susseguirsi di rocambolesche sequenze d'azione prive di un substrato che le giustifichi.
Purtroppo l'azione non è particolarmente memorabile né montata con grande coerenza, tranne la meravigliosa sequenza dell'Opera austriaca e, forse, quella del paracadutaggio d'emergenza, alimentando il senso di inconsistenza ed inutilità che traspira da questa operazione nel suo complesso.
Sicuramente non si tratta della strada artistica imboccata dal predecessore "Casinò Royale" e, sfortunatamente, il film non è neppure reminescente dell'era Roger Moore, in cui l'ironica autoreferenzialità e la leggerezza ben calibrata portava gli spettatori a mettere da parte le critiche sull'assurdità dei presupposti su cui poggiava l'intera trama.
Non tutto il male vien per nuocere, per lo meno da un ben determinato punto di vista: rispetto al precedente, che aveva incolmabili lacune in questo senso, in questo capitolo vi è un pizzico di humour nero e Craig, sempre bravo, sembra più a suo agio nei panni dell'agente segreto.
La Bond girl della situazione, Camille (Olga Kurylenko), è un mix di Melina Havelock (Carole Bouquet in "Solo per i tuoi occhi") e Pam Bouvier (Carey Lowell in "Vendetta Privata"), senza il fascino magnetico della prima e la buffa presunzione della seconda.
D'altro canto, il cattivo, Mr. Greene (Mathieu Amalric), è piuttosto inquietante, il tono calmo e gli occhi attenti, la fredda razionalità e l'apparente normalità contribuiscono nell'insieme a creare l'immagine di un uomo d'affari psicopatico, sebbene il personaggio non sia sufficientemente sviluppato nella sceneggiatura.
Speciale menzione va al Mathis di Giancarlo Giannini, unico personaggio veramente umano in un universo popolato da mostri.
Infine, credo che il pubblico femminile sarà abbastanza scosso da una scena che ha luogo verso la fine del film, un first nella storia di Bond, dato che in pochissimi film vi si fa meramente riferimento (si pensi a "Vendetta Privata", forse il più vicino nei temi a questo).





Those of you who rank action above everything else will probably love this film, while those of you who were hoping for a good storyline, "Casinò Royale" style, will be bitterly disappointed.
"Quantum" is nothing but a speedy succession of loud and fast paced action sequences, with no substantial elements in the story to uphold them.
The worst part of it is that the action itself is not particularly memorable and at times incoherent, except for the beautifully shot Austrian Opera sequence and, perhaps, the "fall-out-of-the-plane" scene, a fact which certainly doesn't help the viewers forget the lack of structure and, on the whole, the sense of pointlessness the film conveys (not to mention the incessant "Quantum" videogame ads in the cinema, but that's a matter of bad product placement).
We are surely not witnessing the "back to the beginning" direction towards which "Casinò Royale" was headed and, unfortunately, the film cannot be compared with the humorously nonsensical Roger Moore era either, since it's missing the lightness of spirit necessary to overlook a weak premise and an even weaker development story-wise.
That being said, I'm going to break a lance in favour of this film, at least in two respects: compared to the previous film, which had none, there's a bit of dark humour involved and Craig seems more comfortable in Bond's shoes.
The Bond girl, Camille (Olga Kurylenko), is a mix between Carole Bouquet's Melina Havelock in "For your eyes only" and Carey Lowell's Pam Bouvier in "Licence to kill"... minus the former's magnetic charm and the latter's endearing sassiness.
On the other hand the villain, Mr. Greene (Mathieu Amalric), is chillingly unsettling: his calm tone and quick eye, his heartless rationality and seemingly normal appearence provide, overall, a subtle and modern depiction of a psychopathic businessman, even though the character is not sufficiently developed in the script.
A special mention goes to Giancarlo Giannini's Mathis, the only genuinely human character in a world populated by monsters.
On a final note, I was rather disturbed by a scene near the end of the film which I think women in the audience will feel sensitive to: I recall a scene like that only being referred to explicitly in one of the Dalton films, possibly the closest in style and themes to this new Bond era.


Thursday 30 October 2008

The Edge of Love (J. Maybury, 2008)



Il soggetto di questo film, uscito in Gran Bretagna lo scorso giugno e ancora inedito in Italia, è di per sé abbastanza irrilevante: tratto da una storia vera, il film tratta dell'insolito rapporto tra Caitlin MacNamara (Sienna Miller), moglie del poeta gallese Dylan Thomas (Matthew Rhys), e il primo amore dello stesso, Vera Phillips (Keira Knightley), nonché dei drammatici intrecci che ebbero luogo all'interno di questo menage à trois.
A dire il vero, il film, che nella prima parte si barcamena faticosamente e confusamente per mostrare la spensieratezza del rapporto a tre, diventa interessante quando rientra in scena in modo preponderante il marito di Vera, William Killick (Cillian Murphy), soldato dell'esercito britannico rientrato dal secondo conflitto mondiale dopo aver combattuto sul fronte greco: la storia si carica di una forza drammatica concreta, esplorando la tragedia di un uomo che non riesce ad abituarsi alla normalità e tantomeno alle circostanze del tutto particolari in cui vive la moglie, a sua volta piegata dalla frustrazione di non riuscire a spezzare il muro di incomunicabilità che la allontana progressivamente dal suo amato sposo.
La fine preannunciata dell'incantesimo di apparente pacificità del menage si traduce in un ripiegamento delle coppie su se stesse ed in una conseguente esplosione di tutte le inquietudini fino a quel momento ignorate: in tutto ciò l'unica costante sembra essere la profonda amicizia tra le due donne, entrambe vittime dell' amore, in trappola ed alla ricerca di uno sfogo, l'una in scappatelle extra-matrimoniali, l'altra nella maternità.
L'ambientazione del film dona molto alla storia e passa da una Londra buia ed assediata alle coste plumbee e brulle del Galles: il grigio, il verde ed il marrone sono i colori predominanti, creando un'atmosfera di latente perdizione all'interno della quale i personaggi sembrano sprofondare ciecamente.
Gli attori sono tutti in stato di grazia, donando ai rispettivi personaggi una corporeità genuina e rendendone alla perfezione lo stato di "vinti", chi dal proprio ego, chi dalla storia, chi dalla debolezza, chi dall'onestà.
Il finale, che mi guardo bene dal rivelare, pone agli spettatori una domanda: si può essere vinti per colpa dell'amore, costretti ad espiarne i torti ed infine permettere che sia il medesimo amore a risollevarci?
Non sta a me rispondere, a maggior ragione perché in questo film ci sono diverse sfumature di amore e la soluzione alla precedente domanda presuppone l'aver individuato quale sia la natura dell'amore che pone in essere un meccanismo simile, non univoca per i personaggi.
In chiusura, consiglio agli amanti delle lingue di scoprire i numerosi significati del termine "edge", che mi rifiuto di tradurre, in quanto, a seconda della traduzione accolta, il titolo acquista ombrature assai diverse tra loro eppure tutte presenti nella storia.

The Edge of Love

When you think of a "menage à trois", this film is certainly not the first to come in mind: the story itself, revolving around the close friendship between Caitlin MacNamara (Sienna Miller) and Vera Phillips (Keira Knightley), respectively wife and former (?) lover of Welsh poet Dylan Thomas (Matthew Rhys), however true, is irrelevant when taking into consideration the strong points of this film.
The film acquires pace and intensity only halfway through, when Vera's husband, William Killick (Cillian Murphy), returns after having fought in World War II and has to come to terms with the horrible trauma he suffered while feeling that no one around him is capable of understanding such pain.
Consequently, Vera is devastated by the radical change her husband has undergone and becomes obsessed with his recovery, whilst burying her frustration by being a model mother; on the other hand, Caitlin's dissatisfaction resolves in more and more frequent extra-marital affairs and Dylan dives deeper into his art, forgetting about everything else.
By a cruel joke of fate, the only genuinely normal relationship seems to be the one between the two women, falling together in the abyss of incommunicability which separates them from their respective husbands.
The actors are all at their best, perfectly conveying the sense of irreparable defeat which drives the characters to such extreme behaviours, and it's not merely coincidental that the predominant colors of the various settings are grey, brown and a dull green, as if to point out the road to perdition the characters are treading along.
The finale, which of course I won't reveal, brings forward a question: Can we allow the very same love that made us atone for its sins to lift us back up on our feet? What is the nature of this love?
I don't presume to reply, nor shall I dwell on the significance of the word "edge", which can assume a variety of shades, all present, depending upon the undertone one chooses to attribute to it.


Lezione Ventuno (A. Baricco, 2008)



Non mi piace rivelare "spoilers", tuttavia mi premuro di dire che la scena che sto per descrivere è tra quelle iniziali del film...chi vuole può continuare a leggere.
L'ambientazione è notturna, lo scenario una piana ghiacciata: al tempo di musica entrano nell'inquadratura delle figure completamente vestite di nero, con lunghi manti che celano completamente le forme del corpo, che sembrano uscite dal carnevale veneziano e, volteggiando sul ghiaccio, portano sulle spalle una bara illuminata al centro da una serie di candele disposte a cerchio, unica fonte di luce della brevissima scena.
La forza evocativa di tale immagine è indescrivibile a parole e fa auspicare la visione di un film in cui sia la musica a parlare ed a materializzarsi attraverso le immagini sullo schermo, un po' come nel capolavoro della Disney "Fantasia" o, per citare un esempio appena più calzante, l'ultima parte dello splendido "Amadeus" di Milos Forman.
Ahimé, non è così: il film diventa quasi da subito un esercizio di stile compiaciuto ed a tratti persino retorico, sprofondando nel non senso nel disperato e ambizioso tentativo di raggiungere la perfezione intellettuale, una teoria sui massimi sistemi autoevidente erga omnes.
I personaggi sono antipatici, logorroici e, cosa alquanto incomprensibile, data la parina di finta-raffinatezza che pervade il film, sboccati come fossero in un film sul Bronx.
Peccato per John Hurt, la cui interpretazione nei panni dell'eccentrico professore Mondrian Kilroy è l'unica punta di genuina malinconia che la pellicola può vantare ed è tuttavia sacrificata dalle parole moraleggianti messe in bocca al suo personaggio.
In fin dei conti, il tour de force filosofico di Baricco si traduce in una grande sfilata di simbolismi banali, la cui elementarità non è giustificata da un legame viscerale con la musica del maestro Beethoven che, tagliuzzata qua e là "ad effetto" alla mercé del regista, non diventa mai essa stessa un personaggio della storia, bensì rimane un accessorio fungibile.
Solo nei rarissimi momenti in cui Baricco mette da parte il suo ego ed apre uno spiraglio alla musica, rendendola unica protagonista della scena, si realizza in atto quello che il film trascina in potenza per la sua ora e tre quarti di durata: pura ed incondizionata bellezza.
A voi la scelta...







"Lesson 21" a.k.a. "Lecture 21" (U.K. title)

What follows is my review of the film "Lezione Ventuno", written and directed by acclaimed novelist Alessandro Baricco and first presented at the Locarno Film Festival in Switzerland last August. It opened in Italy on October 17.

I'm not exactly a spoiler lover, however I feel there is a scene in this film I must describe to get to my point. If it's any consolation at all, the scene takes place very early on in the film, so I'm sure that will soften the blow.
The scenario is a nocturnal view of a frozen plain: a small bunch of strange figures enter the frame, clad in long black mantles, as if they were coming straight out of Venice's world famous carnival, and, following the tempo of the background music, twirl harmoniously whilst carrying a coffin, at the centre of which a few candles are burning, creating the only source of light in the scene.
The image is so chillingly haunting that it leaves you dumbstruck and appears to be setting the pace for a film dominated by the impetuous and mighty score borrowed from Beethoven's impressive repertoire, imposing itself as a painter of its own portrait through the big screen.
Unfortunately, the audience is in for a disappointment: the film soon turns into practice material, a purely academic exercise set into motion by one who strives to reach intellectual perfection, pure theory concering the chief systems of existence, and instead makes a false move, trapped by self-absorption and rhetoric.
The characters are unpleasant, excessively loquacious and, what's most incomprehensible, given the seemingly glossy finesse spread throughout the whole film, really foul-mouthed, as if the audience thought they were going to see "Hustle and Flow".
It's truly a shame that John Hurt had to be involved in all of this, because even his genuinely melancholic portrayal of eccentric professor Mondrian Kilroy is toned down by the pithy lines he has to deliver.
All taken into account, Baricco's philosophical tour de force consists of nothing more than a far too carefully put together series of trivial symbolisms, deprived of a visceral bond with Beethoven's compositions, which in fact would have justified their basic nature.
The music itself, cut and patched up at the director's will in the hope making the scenes more catchy, is never given the opportunity of becoming a stand-alone character in the story and remains an anonymous and disposable accessory.
To tell the truth, it is in the extremely rare occasions in which Baricco puts aside his ego and allows a glimpse of music to shine by itself in a scene that what is dragged through an hour and three quarters without ever emerging finally takes place: pure and unconditional beauty.
The choice is all yours...


Benvenuti! Welcome!

Cari visitatori e amici,

Dato che negli ultimi tempi il mio spirito fortemente cinefilo ha avuto occasione di esprimersi molto più frequentemente, complici le riduzioni sui biglietti del cinema applicate agli studenti, con questo post inauguro ufficialmente una sede di critica cinematografica alternativa e personale.

Buon divertimento!



Dear visitors and friends,

Since the film buff ego which is vastly predominant inside my soul has recently had the chance to express itself quite often, largely because of price reductions applied to cinema tickets in favour of students, I'm officially introducing an alternative and personal source of film review.

Enjoy!