Wednesday 3 December 2008

Changeling (C. Eastwood, 2008)




Il 10 marzo 1928 a Los Angeles il piccolo Walter Collins scompare.
La madre Christine si mette alla disperata ricerca del figlio e sei mesi dopo le viene annunciato che è stato ritrovato sano e salvo.
Tuttavia il bambino che le viene riportato non è suo figlio, a differenza di quanto vorrebbero farle inutilmente credere i poliziotti incaricati del caso.
Christine si trova allora costretta a intraprendere una guerra contro i potenti della città nel tentativo di far venire alla luce la verità...

Clint Eastwood non è mai stato un amante della retorica, di discorsi sui massimi sistemi, monologhi "virtuosi", dialoghi complessi, giochi di parole e vari espedienti di questo genere.
Egli è soprattutto un osservatore della realtà, dotato di una lucididà e sobrietà che trascendono la sensibilità cinematografica più diffusa.
"Changeling" è in questo senso esemplare : la storia vera di Christine Collins (una Angelina Jolie che fà il verso alle dive del passato, con modesti risultati), madre alla disperata ricerca del figlio nella Los Angeles degli anni '20, coinvolta suo malgrado in una lotta ad armi impari contro le forze dell'ordine che vorrebbero far creder suo un bambino che in realtà non lo è, viene raccontata seguendo minuziosamente la cronaca, a tal punto da riportare anche le singole date.
Non vi è dunque una progressione temporale "a effetto" per impressionare gli spettatori e, d'altronde, non ve ne sarebbe bisogno, perché il senso morale di chi sta dietro la cinepresa traspare in ogni momento : non si tratta, invero, di una mera narrazione dei fatti, quasi fossimo in presenza di un documentario, bensì di un messaggio colmo di un'indignazione autoevidente, immune dalla necessità di essere giustificata in quanto percepita simultaneamente dagli spettatori.
Eastwood è un regista indignato ma non polemico, perché la trasparenza delle immagini portate sul grande schermo si sposa con un ideale di coscienza sociale la cui moralità intrinseca è talmente forte da pesare più di qualunque invettiva.
L'occhio del regista cade sul dramma umano di Christine cogliendone l'ambivalenza, rappresentata dal dolore privato della donna e dalla dimensione sociale del suo caso, in un atto di imprevedibile ottimismo.
Non a caso, sebbene l'angoscia crepiti sullo schermo per tutti i 140 minuti di durata del film, la scoperta dell'orrore e soptattutto le traversie giudiziarie conseguenti hanno un effetto catartico sulla protagonista e, in particolare, su chi guarda.
Qualcuno ha criticato questa parte più "tecnica" del film, consistente nella risposta della società losangeliana alla tragica vicenda, tuttavia l'obiettivo perseguito è di trasmettere fiducia nella possibilità di redimere il sogno americano da se stesso, permettendo ad un ideale di giustizia sostanziale di compiere la sua missione.
In fondo dunque il regista è un ottimista, alle prese con una realtà che sembrerebbe non far trovare pace alle persone oneste : il suo è un messaggio di speranza, rafforzato da una semplicità "classica", fatta di concretezza e sentimento (attenzione, non sentimentalismo!).
Forse è per questo motivo che la prima sensazione coscientemente riconoscibile mentre scorrono i titoli di coda è quella di uno strano sollievo.

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