Saturday 7 January 2012

Quick review: J. Edgar (C. Eastwood, 2011).


John Edgar Hoover è stato il Nosferatu della politica americana per mezzo secolo, dirigendo il Federal Bureau of Investigation dall'età del New Deal fino all'era Nixon. In questo film vengono ripercorsi, da un lato, tutti gli eventi cruciali che hanno trasformato l'FBI da mera articolazione amministrativa a burattinaio della politica interna e, dall'altro, i difficili rapporti personali che segnarono tutta la sua vita: quello con la madre possessiva, con la fedelissima segretaria Helen Gandy e con il tormentato confidente Clyde Tolson.

Clint Eastwood aveva già dimostrato di saper trattare alcuni degli episodi più bui della storia e della società americana con una sobrietà che va al di là della mera cronaca documentaristica, ma non aveva a sua disposizione prove d'attore così intense e memorabili come quelle a cui assistiamo in questa pellicola. Leonardo Di Caprio, in quella che è la migliore interpretazione della sua carriera, dà anima e corpo a uno dei personaggi più controversi del Novecento statunitense con una prova che va ben oltre la mimica, ahinoi un tratto molto ricorrente nei film biografici più recenti ( e più sopravvalutati?), e coglie magistralmente il prisma impossibilmente complesso che era John Edgar Hoover. Armie Hammer, già noto per il doppio ruolo in "The Social Network", non si limita a fare da spalla a Di Caprio, bensì a tratti gli ruba la scena, interpretando un personaggio allo stesso tempo magneticamente fascinoso e teneramente leale, e il rapporto tra il suo personaggio, Clyde Tolson, e J. Edgar commuove per la delicatezza e la genuina empatia con la quale è trattato. Completa questo duetto un'inedita Naomi Watts, che, uscita dai consueti ruoli di bionda nevrotica, interpreta con notevole sobrietà un personaggio - la segretaria Helen Gandy - che rimane fortemente impresso per il silenzioso ma fervente senso etico e la fedeltà al suo direttore. Poco incisiva Judi Dench nel ruolo della madre di J. Edgar. La sceneggiatura è di Dustin Lance Black, già vincitore dell'Oscar per "Milk", il cui stile si riconosce nel procedere serrato della narrazione, nello spiegare poco e lasciare che siano i dialoghi a rendere edotto lo spettatore del contesto storico nel quale vivono i personaggi. Le sue sceneggiature non brillano per agilità, rischiando in effetti di risultare un po'"pesanti", ma, in questo caso, il fascino della storia e dell'uomo che ne è al centro sono elementi sufficienti a mantenere vivo l'interesse dello spettatore, anche grazie alla regia minimalista di Clint Eastwood. In definitiva, il film che consacra Leonardo Di Caprio, che merita di essere visto in lingua originale anche per assistere al notevole lavoro di dizione fatto dall'attore. Una menzione speciale va al trucco, il cui effetto è davvero strabiliante.


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