Monday 31 December 2012

Le Idi di Marzo (The Ides of March, di G. Clooney, 2011)



In programmazione su Sky Cinema.

Avete presente “Lo Squalo” di Steven Spielberg? Le scene cult del film funzionano non tanto perché il pericolo si manifesta, quanto piuttosto perché scopriamo che il pericolo c’era sempre stato e noi (spettatori) non ce ne eravamo accorti.


“Le Idi di Marzo” sembra adottare questo fondamentale mantra come chiave di volta di tutta la narrazione. E funziona. Eccome se funziona. Le doti registiche di Clooney si sposano perfettamente con la tipologia di film che lo attraggono come attore: film girati con uno stile sobrio, asciutto, talmente asciutto da risultare puntualmente impietoso nel tratteggiare i propri personaggi.

In questo film assistiamo a quella che nel linguaggio operistico viene chiamata “change of key”: un improvviso cambio di registro, congegnato in maniera talmente formidabile da far sì che gli spettatori si chiedano sbalorditi come sia stato possibile.

La prima parte del film sembra la storia di tanti altri, un affresco superficiale e compiaciuto della vita quotidiana dei nidi d’ape che sorgono in occasione delle campagne elettorali – per la verità, di qualsivoglia genere – statunitensi. Ryan Gosling, mai così bravo, interpreta un giovane idealista, fervente sostenitore di quello che sembra essere il futuro Presidente USA, i.e. il personaggio di George Clooney. Il suo Steven è “married to the campaign”, come la sceneggiatura ha cura di specificare, la sua vocazione nasce da una profonda fede nel progetto politico che il suo capo sta portando avanti, una sorta di fondamentalismo ideologico rispetto ai valori che egli rappresenta.

Peccato che il candidato dei “giusti” sia tutt’altro che uno stinco di santo e, piccola rivelazione dopo piccola rivelazione, senza che né il protagonista né noi spettatori ci rendiamo pienamente conto, quello che doveva essere uno tra i tanti pseudo-documentari sul politichese si trasforma in quello che, secondo me, più che un thriller (come lo definisce gran parte della critica), è un vero e proprio noir, scioccante, tetro, senza redenzione. Davanti ai nostri occhi increduli, l’unico personaggio del film che crede nella lealtà esce sconfitto, mentre il giovane, idealista fondamentalista Steven si trasforma in uno spregiudicato, brutale opportunista, proprio come il suo capo.

Ma il vero colpo di genio del film sta nel fatto che ci pone un interrogativo difficilmente solvibile: quella di Steven è una vera e propria trasformazione, indotta dalla rivelazione che nessun uomo, neanche quello che porta avanti le cause più nobili, è puro? O è il naturale sfogo di quel fondamentalismo ideologico che lo porta sin dalle prime scene del film a mettere in prima linea la causa politica, quella per cui ogni mezzo diventa lecito? In altri termini, i recessi più cupi della mente umana sono semplicemente indotti da eventi esterni o sono già ivi latenti e attendono solo il momento giusto per venire alla luce? Clooney non sceglie: a ognuno la sua interpretazione.

Nella sequenza di apertura, mentre Steven prova il microfono che dovrà essere utilizzato dal suo capo, pronuncia alcune parole del discorso che avrà luogo: “I'm not a Christian. I'm not an Atheist. I'm not Jewish. I'm not Muslim. My religion, what I believe in is called the Constitution of United States of America”.

Senza voler rovinare nulla, si sappia solo che la scena finale chiude il cerchio apertosi con quell’affermazione, nel segno della disillusione e dell’amarezza, ma anche – e soprattutto – di una rara consapevolezza circa la vera essenza della natura umana, così repentina nel creare ideali e doppiamente tale nell’infrangerli. Una tragica, sempiterna tensione.



No comments: